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Una poesia in vernacolo, problemi e prospettive alla villetta De Nava

“Poesia in lingua poesia in vernacolo. “E’ possibile oggi una poesia in vernacolo? Problemi e prospettive” è il tema del secondo  degli incontri di approfondimento sulla letteratura calabrese promossi dall’Associazione Culturale Anassilaos, congiuntamente con la Biblioteca “De Nava”, con il patrocinio del Comune di Reggio Calabria nell’ambito della mostra “Scrittori di Calabria” in corso presso la Villetta De Nava, che si terrà giovedì 12 maggio alle ore 16,45 nella Sala Giuffrè della Villetta.

Al centro della riflessione della professoressa  Francesca Neri – preceduta dalla introduzione della professoressa Pina De Felice – la funzione, il ruolo e soprattutto il futuro della poesia in vernacolo e/o in dialetto nella società contemporanea, italiana, calabrese e reggina. Innanzi tutto – scrive Stefano Iorfida Presidente Anassilaos -sarebbe forse meglio parlare di “poesia in lingua non nazionale”, una espressione più scientificamente valida e più adatta alla complessa realtà storica e letteraria della Penisola dal momento che il milanese di Carlo Porta e ancora più il veneziano di Carlo Goldoni come il romanesco di Belli e il napoletano di un Basile e di altri prima di essere dialetti erano la lingua parlata in regni e stati autonomi preunitari (la Repubblica Veneta, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli). Soltanto l’Unità d’Italia dal 1861 in poi e con gradualità (pensiamo alle incertezze di un Manzoni circa la lingua da adoperare per il suo Romanzo) fece emergere una lingua nazionale e regredire a dialetti le altre. Ciò premesso è evidente che la poesia in lingua non nazionale prima e dopo l’unificazione del Paese ebbe un ruolo importante nella cultura popolare e non solo, pervenendo a risultati letterari di grandissimo livello se oltre ai sopra citati Porta e Belli per il romanesco abbiamo autori della statura di un Pascarella e di un Trilussa; per il napoletano un Salvatore di Giacomo cui possiamo aggiungere Totò.

La Calabria e il reggino non mancano di autori di grande spessore e levatura: Vincenzo Padula, Francesco Ammirà, Giovanni Conia, Bruno Pelaggi, Matteo Paviglianiti, Vittorio Butera, Nicola Giunta, Giuseppe Coniglio, Pasquale Creazzo, Napoleone Vitale, Giuseppe Morabito, Giovanni De Nava, Pietro Milone, Michele Pane, Nino Consolato Caminiti, Ciccio Errigo, Michele Musolino, Domenico Martino, Luigi Campagna, Gaetano Previtera, Salvatore Filocamo, Carmelo Chiovaro ed altri fino ai poeti viventi tra i quali può essere citato Natale Cutrupi, Domenico Sgrò, Arturo Cafarelli e soprattutto Giuseppe Ginestra erede dei grandi maestri in versi del vernacolo reggino. Ma il problema, al quale si proverà a dare una risposta, provvisoria e non esaustiva, è questo “è possibile oggi una poesia in lingua non nazionale? e quale il suo futuro?”. Gli autori in vernacolo oggi viventi hanno quasi tutti una età venerabile e non si evidenzia un cambio generazionale. I giovani non parlano più il dialetto, peggio non vivono più il dialetto come espressione viva e autentica che scaturisce dalle proprie emozioni siano esse d’amore, di rabbia di malinconia. La lingua che tutti parliamo nel nostro privato è un italiano dialettizzato, infarcito cioè di dialettismi, ma non è più la lingua del cuore.

La crisi del dialetto – che oggi viviamo - è già peraltro evidente anche nei poeti contemporanei che al dialetto tornano attraverso una operazione linguistico-culturale che riprende moduli e temi di un antico passato, di tradizioni di vita d'antan che nulla dicono al presente. Una operazione vintage che spesso si rivela sterile. La globalizzazione, con la sua koinè linguistica, mette a repentaglio anche le lingue nazionali e la semplificazione linguistica va di pari passo con la semplificazione mentale. Cosa è mai la scomparsa lenta e progressiva, nell’Italiano di oggi, del congiuntivo come del condizionale se non la perdita, grave per ciò che esso sottende, di una sfumatura del pensiero a favore di un pensiero certo e granitico? Se in uno sms i giovani per scrivere “io ti amo” scrivono un “I “ con un cuoricino  che ne sarà non soltanto della poesia in vernacolo ma della poesia stessa?


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