Cronaca

La fuga e la latitanza dorata in Sud America, al "tamunga" non sfuggiva il controllo del business della droga

Una delle figure centrali dell'operazione Eureka è Rocco Morabito: il boss di Africo arrestato a Joao Pessoa in Brasile nel maggio del 2021

Rocco Morabito

Quattro giorni dopo la fuga dalle carceri sudamericane Rocco Morabito “u tamunga”, una delle figure cardine dell’operazione Eureka, si premurava di entrare in contatto con i parenti in Calabria e riallacciare la rete dei rapporti per non fermare il fiorente traffico di stupefacenti che la cosca gestiva dal Brasile.

Per farlo il boss africese, arrestato nel maggio del 2021 a Joao Pessoa in Brasile, usava telefono criptati e nickname. In particolar modo, come accertato dai carabinieri del Ros, Rocco Morabito usava l’utenza SkyEcc 791430, contraddistinta dai seguenti nickname: "I'll ritorno, I'll ritorno zio, Francisco, I'll ritorno Melek, Cartier", talvolta utilizzati dagli altri indagati al fine di menzionarlo, evitando, nel contempo di farne il nome.

Il riferimento principale di queste chiamate, per gli inquirenti della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, era il nipote 40enne Carmelo Morabito, raggiunto anche egli da un’ordinanza di custodia cautelare all’alba di oggi.

Un contatto che era servito a Rocco Morabito per gestire la latitanza in Sud America. Per gli investigatori dell’Arma, il boss di Africo sarebbe il dirigente, organizzatore e finanziatore dell'associazione, operativo in Brasile (ove si trovava in stato di latitanza), assumendo le principali decisioni strategiche e operative; individuava e organizzava le operazioni di narcotraffico dal Sudamerica.

Ma non solo, Morabito avrebbe finanziato le importazione di cocaina
e impartito le direttive per il buon esito delle stesse; mantenendo i contatti con i fornitori della cocaina in Sudamerica e con organizzazioni criminali (tra cui una paramilitare composta da guerriglieri operativi in Brasile) e intervenendo nei momenti di crisi dell'organizzazione per scongiurare omicidi e azioni ritorsive in danno dei componenti della stessa.

Morabito, poi, dall’alto del suo rango criminale avrebbe assunto decisioni in ordine ad azioni violente in danno di altre organizzazioni criminali e provveduto al mantenimento economico degli associati detenuti o delle persone comunque arrestate per azioni in favore dell’associazione”.

Il nipote Carmelo, invece, avrebbe “fornito un determinante contributo per assicurare la latitanza e l'operatività di Rocco Morabito nell'ambito dell'organizzazione allo stesso facente capo; finanziava le importazioni e, sulla base delle indicazioni impartite da Rocco Morabito, portava avanti le trattative con i fornitori sudamericani.

E, infine si sarebbe "occupato dell'organizzazione delle importazioni e partecipava alle principali decisioni operative, mantenendo rapporti diretti sia con le organizzazioni addette al carico dello stupefacente sulle navi nei porti di partenza, sia con le squadre di operatori portuali incaricati del recupero nel porto di Gioia Tauro; provvedeva al taglio della sostanza stupefacente e alla successiva fase di commercializzazione e gestiva la cassa comune dell’organizzazione”.


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