La città dello Stretto che celebra il passato ma che deve guardare con speranza al futuro
Sentimenti contrastanti animano lo sguardo dei reggini verso una città che contempla mille sfaccettature contrastanti
"Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato". Il poeta Catullo riesce con efficacia a rendere la situazione emotiva di un amore lacerato da sentimenti contrastanti, e condensa in un epigramma travagliato un tremendo dissidio interiore.
Un attrito dell’anima che ben si applica anche ai luoghi, oltre che alle persone. La città dello Stretto suscita questa ambivalenza animica, è un dato di fatto. Si detesta perché non risponde alle aspettative di qualità della vita soddisfatte, invece, da molte città del Nord Italia. Si ama perché è una terra straordinaria, dagli aspetti inconsueti e dai lati sorprendenti, per la sua incantevole bellezza e perché no, anche per la difficoltà di viverci, che tempra i suoi abitanti più che in altre parti del paese.
La ricerca, per la cronaca, misura la qualità della vita attraverso parametri come “ricchezza e consumi”, “demografia e salute”, “affari e lavoro”, “ambiente e servizi”, “giustizia e sicurezza”, “cultura e tempo libero”.
Nell’anno della pandemia l’indagine ha inserito tra i parametri, anche l’indice dei casi Covid rilevati ogni mille abitanti. Sono dati che hanno una loro intelligibilità da cui poter desumere e sviscerare aspetti altrimenti celati e inerti. I numeri, diceva Platone, sono la via d’accesso alla dialettica. Numeri che diventano idee, spunti, analisi per ripartire, si spera, verso un rilancio pianificato e costruttivo.
Dati che rivelano, al momento, lo stato di salute della città e che danno il tormento perché raffigurano una realtà oggettiva imprescindibile. I problemi sono sempre gli stessi: rifiuti abbandonati ovunque con la conseguente creazione di micro/macro discariche anche nel centro storico cittadino, servizi essenziali schizofrenici, disoccupazione ormai allo stato cronico, sanità ridotta a barzelletta nazionale, cultura mai adeguatamente valorizzata, criminalità organizzata diffusa e capillare, atteggiamenti di rassegnazione e di afflizione del popolo reggino, il quale, spesso, dimentica che nel suo vocabolario esiste la parola “indignazione”.
Tutto questo in uno spazio contenuto, in un colpo d’occhio che toglie il fiato. E poi, il bene più prezioso, il mare.
Quel mare che è parte integrante di un reggino, perchè ci sono cose che si possono capire solo se si nasce in una città lambita dalle acque. Il rapporto che si instaura tra l’uomo e il mare è veramente qualcosa di profondo, di viscerale che ci si porta dietro anche se ci si allontana da quella sublime visione.
I reggini hanno nel loro Dna il mare e non ne possono fare a meno, lo porteranno con sé ovunque vadano.
Quanta bellezza in questa città tanto deturpata! E odio e amore continuano ad andare di pari passo, due facce della stessa medaglia, due sentimenti che, malgrado tutto, spazzano via l’indifferenza, il peggiore dei mali. Ciò che serve è proiettare sulla città uno sguardo costruttivo e lungimirante, guardarla come uno spazio aperto in cui si dilatano gli orizzonti della creatività. Uno sguardo umile, fattivo che comincia dalla cura per il bene comune e dall’impegno quotidiano di ciascuno dei suoi figli.